In questo articolo ci concentreremo sui 6 elementi, 3 positivi e 3 negativi, capaci di influenzare la motivazione del personale:
- piacere di lavorare
- scopo
- potenziale
- pressioni emotive
- pressioni economiche
- inerzia
I professori Neel Doshi e Lindsay McGregor (dei quali potete vedere un intervento per Talks at Google nel video qui sotto) hanno evidenziato come fattori quantitativi storicamente considerati cruciali nell’incremento della motivazione del personale, ad esempio la retribuzione e le sessioni di performance review, in realtà abbiano un impatto molto minore rispetto a elementi più legati alla struttura, alla cultura e al benessere organizzativo.
I processi aziendali con una reale incidenza sulla motivazione sono riassunti nel grafico sottostante:
* fonte Harvard Business Review – risultati della ricerca di Neel Doshi e Lindsay McGregor
L’incremento dei livelli di motivazione del personale, tuttavia, non è un’esclusiva responsabilità delle aziende.
Gli individui hanno il potere di limitare la propria creatività, aumentare la percezione dello stress e diminuire la motivazione e la conseguente capacità di raggiungere i propri obiettivi, semplicemente con un atteggiamento negativo.
Se aspettare di essere felici è un effettivo ostacolo al potenziale individuale, coltivare una mentalità positiva ci rende non solo più motivati, ma anche più efficienti, resilienti, creativi e produttivi, portando le performance aziendali sempre più in alto.
I 6 elementi che influenzano la motivazione del personale
Entriamo ora nel merito dei motivi che spingono le persone a lavorare.
1. Il piacere di lavorare
Quando è il nostro stesso ruolo a motivarci, siamo in grado di lavorare in zona enjoy, traendo piacere e soddisfazione dalla professione. Un insegnante che ama il proprio mestiere, ad esempio, ne ama ogni aspetto, dalla creazione del programma didattico alla correzione dei compiti in classe, fino all’interazione con i singoli studenti. Il piacere di lavorare è un istinto che ci porta ad avere passione per l’apprendimento, curiosità di sperimentare cose nuove e ad affrontare sfide e problemi.
2. Lo scopo
Quando l’impatto del proprio lavoro rappresenta un vero valore per noi e ci rispecchia, ecco che la nostra motivazione è lo scopo dell’attività professionale. Tornando all’esempio dell’insegnante, è guidata dalla volontà di educare e preparare alla vita gli alunni, un obiettivo con il quali si identifica completamente.
3. Il potenziale
Quando la professione alimenta e rafforza il nostro potenziale individuale, il risultato del lavoro crea un miglioramento personale. Nel caso dell’insegnante, potrebbe essere mossa dalla motivazione di volere in futuro diventare preside e quindi svolge al meglio le proprie attività con l’obiettivo di un potenziale avanzamento di carriera.
Le tre motivazioni elencate finora sono, in un modo o nell’altro, legate direttamente al lavoro in sé. Si tratta quindi di motivazioni dirette capaci di incrementare la qualità della performance portandola ad alti livelli.
Quelle che seguono, invece, sono indirette e potenzialmente sono in grado di minare la qualità dei risultati lavorativi.
4. Le pressioni emotive
Quando lavoriamo perché ci sentiamo in colpa nei confronti di qualcuno o percepiamo un giudizio esterno (ad esempio da parte di una persona che ci fa sentire in difetto se non facciamo qualcosa), subiamo una pressione emotiva. Se la motivazione che ci spinge ad andare in ufficio è non deludere noi stessi o gli altri, evidentemente qualcosa non va per il verso giusto, anche perché è completamente slegata dalla professione in sé.
5. Le pressioni economiche
Ecco un’altra forza esterna che può condizionare il rendimento: se lavoriamo esclusivamente per ottenere un riconoscimento economico o evitare una conseguenza negativa, la motivazione non è solo slegata dalla professione in sé, ma anche dalla nostra identità personale.
6. L’inerzia
Quando la motivazione è ormai completamente distaccata sia dal ruolo professionale che dal potenziale personale, è difficile determinare il perché stiamo lavorando.
Se l’unico motivo per cui una persona esce di casa per andare in ufficio ogni mattina è per abitudine, avendolo fatto il giorno precedente e quello prima ancora, si ha un forte sintomo di inerzia.
Si tratta sempre di una motivazione perché effettivamente l’attività è ancora in corso, tuttavia non c’è una vera spiegazione al perché stia continuando.
Abbiamo visto che le prime 3 motivazioni, quelle dirette, hanno un impatto positivo sulle prestazioni lavorative, al contrario delle ultime 3 che invece le compromettono.
Nel caso delle motivazioni indirette, legate più a elementi esterni, è più facile che la percezione del proprio lavoro generi frustrazione, perdita di concentrazione e risultati insoddisfacenti.
Cosa possono fare le aziende per mantenere alta
la motivazione dei propri collaboratori?
La chiave può trovarsi nella cultura d’impresa: quando questa è bene comunicata e condivisa, i dipendenti sentono di fare parte di un’organizzazione nella quale ognuno può dare il proprio contributo. Se in più l’azienda incoraggia la proattività e l’espressione del potenziale dei singoli, con un occhio alla creazione di un team coeso, ecco che abbiamo più probabilità di massimizzare anche i risultati di business.
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