Come gestire il cambiamento in azienda con alcuni consigli utili

Pubblicato da: Chiara Gorla aggiornato il 9 aprile 2021
Chiara Gorla
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gestire il cambiamento in azienda

In quest’epoca di trasformazioni e mutamenti continui, sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista organizzativo, gestire il cambiamento in azienda diventa una delle massime priorità per sopravvivere e soprattutto emergere nel mercato.

Oggi sappiamo che la concreta possibilità di evolvere, anche grazie a un percorso formativo aziendale ben progettato e realizzato, poggia solidamente sulla straordinaria capacità del nostro cervello di trasformarsi in risposta a stimoli nuovi e nuovi apprendimenti. Le neuroscienze ci spiegano che questa capacità si chiama neuroplasticità e che gioca un ruolo di primo piano tutte le volte che lasciamo andare un vecchio comportamento o ne costruiamo uno nuovo.

Ne parliamo nelle prossime righe: 

  • Neuroplasticità e abitudini
  • Analisi delle abitudini
  • Gestire il cambiamento in azienda modificando le abitudini

Come gestire il cambiamento in azienda?

Conoscere e modificare le abitudini è un esercizio fondamentale.

Nelle persone coinvolte in trasformazioni organizzative, il pensiero del cambiamento genera spesso comprensibili resistenze ed è talvolta associato ad un senso di fatica per il grande investimento di energie che comporta. Jim Hemerling, esperto di gestione del cambiamento in Boston Consulting Group, nel suo libroTransformation, Delivering and Sustaining Breakthrough Performance indica i fattori chiave del successo di un percorso di trasformazione. 

 

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Uno di questi è proprio la formazione che le aziende sono chiamate a fornire ai loro dipendenti per equipaggiarli con le competenze indispensabili a interpretare via via il proprio ruolo in modo più adeguato alle esigenze di un mondo in rapida e continua evoluzione.

Questo supporto, spiega Hemerling, permette alle persone e alle aziende di vivere la trasformazione non solo in modo più sostenibile, ma addirittura energizzante e tutti sappiamo quanto contino le emozioni e gli stati d’animo di fronte a qualsiasi sfida (ne abbiamo parlato anche in questo articolo sul coaching aziendale).

E, sempre secondo Hemerling, l’intervento formativo può essere davvero efficace quando progettato non in reazione a una crisi, in cui si sente l’urgenza di cambiare e in fretta, ma come pratica di una cultura di trasformazione continua.

Non solo. Per poter evolvere e trasformarsi, è importante essere convinti che ciò sia veramente possibile anche a livello personale, che sia, cioè, una prospettiva praticabile nella realtà delle cose e non un’utopia campata per aria.  

Neuroplasticità e abitudini

Se provassimo a immaginare il cervello come una rete elettrica, dinamica, connessa, con miliardi di strade, percorsi, punti luminosi ogni volta che si pensa, sente o fa qualcosa, le strade più battute potrebbero rappresentare le nostre abitudini, come ben illustrato in questo breve video:

I modi consolidati di pensare, sentire e fare ogni volta che pensiamo in un certo modo, proviamo una certa emozione o esercitiamo una pratica specifica, non fanno altro che rafforzare la costruzione di quei sentieri, rendendo più agevole il percorso delle relative informazioni.

Allo stesso modo quando pensiamo a qualcosa in modo diverso, impariamo a svolgere un’attività o proviamo un’emozione nuova, iniziamo a costruire una strada che, se percorsa in modo continuativo, diventa la corsia preferenziale, a discapito della vecchia via, sempre più debole perché meno battuta.

Il processo di ricablaggio del cervello, con la costruzione di nuove connessioni e la dismissione di quelle vecchie, è un esempio di neuroplasticità in azione.

 

Quali sono i vantaggi della neuroplasticità?

 

Innanzitutto le continue conferme in ambito scientifico circa la neuroplasticità del nostro cervello supportano la ragionevole convinzione che sia davvero possibile continuare a imparare e cambiare, anche in età adulta.

Se vi è mai capitato di abbandonare una cattiva abitudine o di iniziare a vedere qualcosa in un modo completamente diverso da prima, avete inconsapevolmente sperimentato la neuroplasticità, magari focalizzandovi semplicemente sul cambiamento desiderato, allenando nuovi comportamenti funzionali e creando così nuove e più consolidate connessioni neurali.

Analisi delle abitudini

Per comprendere il funzionamento delle abitudini, può esserci utile ripensare a quando abbiamo imparato ad andare in bicicletta. All'inizio ci sembrava difficile, quasi impossibile, ma poi è divento naturale quanto camminare, al punto che possiamo entrare in una sorta di modalità stand-by, nella quale non dobbiamo più preoccuparci di prestare attenzione ad ogni singolo movimento che ci consente l’equilibrio e la progressione. In pratica, quando siamo abituati a fare qualcosa, operiamo in un regime di “risparmio energetico”.

Come è chiaro, le abitudini non sono necessariamente qualcosa di negativo. Capire come funzionano può esserci utile per intervenire e cambiare quelle che non sono (più) funzionali e sostituirle con altre nuove e utili, anche nella vita professionale.

Gestire il cambiamento in azienda modificando le abitudini

 

Quante volte diciamo o sentiamo dire

“sono fatto così, non posso cambiare ciò che sono”?

 

Le ricerche neuroscientifiche ci hanno dimostrato che il cambiamento non è solo possibile, ma è parte di noi, quindi come sconfiggere la paura?

Innanzitutto può essere utile sapere che nella costruzione di un’abitudine entrano in gioco 4 elementi, combinati tra loro in una precisa successione. Vediamoli uno ad uno.

Il primo passo essenziale all'acquisizione della capacità di gestire il cambiamento è osservare la nostra reazione agli stimoli. Lo stimolo è l’innesco che attiva la modalità stand-by nel nostro cervello: ad esempio leggere il primo punto della to do list all'arrivo in ufficio, vedere un’email del proprio responsabile, sentire i colleghi che ti chiamano per uscire a pranzo, può innescare, per esempio, una routine di procrastinazione rispetto a quanto dobbiamo fare.

Lo stimolo, in sé, non ha connotazione positiva o negativa, è ciò che facciamo in reazione a esso che conta.

Ma soprattutto, se impariamo a riconoscere cosa ci fa entrare in modalità stand-by e quindi attuare un’abitudine poco funzionale, come rimandare un compito o perdere tempo, abbiamo maggiore possibilità di scegliere come reagire allo stimolo e guadagnare maggiore controllo sul nostro comportamento.

 

Come si abbandona un comportamento consolidato?

 

Per prima cosa, per sviluppare una nuova abitudine è necessario avere un piano. Per esempio, scegliere di lavorare con il cellulare spento e di chiudere il programma di posta elettronica mentre si fa altro al computer può essere d’aiuto perché elimina possibili inneschi dell’abitudine a distrarsi e a procrastinare.

Altrettanto efficace può rivelarsi l’introduzione volontaria di un altro innesco, un piccolo gesto che scegliamo come avvio di una nuova routine. Uscendo dal contesto professionale e immaginando una situazione più familiare e personale, preparare alla sera una bella tavola con tutto l’occorrente per la colazione del mattino dopo, può rivelarsi un buon assist per attivare la routine di fare una buona colazione prima di correre per uscire da casa. In questo caso l’assist ci sottrarrebbe alla tirannia dei minuti contati e all'alibi del “non ho tempo per la colazione”.

 

Qual è il fattore critico per l’avvio di una nuova abitudine?

 

Ed eccoci al terzo passaggio della creazione di una nuova abitudine: la ricompensa. Ogni abitudine esiste per due ragioni: ci gratifica e ci costa pochissimo. Finché è funzionale agli obiettivi che vogliamo o dobbiamo raggiungere… bingo!  Quando non lo è più e va cambiata, dobbiamo aver cura di accompagnare la nuova abitudine con una qualche piccola gratificazione immediata e significativa che ci faccia percepire desiderabile e meno faticoso l’allenamento continuo del nuovo comportamento.

Se l’abitudine che vogliamo abbandonare è la tendenza a distrarci o a procrastinare, al termine di un periodo in cui siamo riusciti a lavorare in modo focalizzato e produttivo è fondamentale celebrare con un’adeguata interruzione, una pausa caffè o due chiacchiere con i colleghi.

gestire il cambiamento in azienda colleghi

Un nuovo servizio di tazze da caffè o un nuovo set di tovagliette per la prima colazione possono rappresentare invece la gratificazione necessaria al lavoro extra di dover pure apparecchiare per la colazione dell’indomani alla fine di una giornata impegnativa. La gioia di vivere un momento più disteso e nutriente di prima mattina farà il resto.

Di fatto, ogni nuovo comportamento si consolida e resiste solo se c’è una ricompensa adeguata che ci faccia provare una sensazione di piacere.

L’aspetto positivo è che, quando troviamo il modo di creare abitudini nuove e più efficaci, la fiducia nelle nostre capacità aumenta. E possiamo così accedere al quarto e ultimo passaggio nella costruzione della nostra abitudine: l’acquisizione di una nuova convinzione su di noi, sulle nostre capacità e sull'esperienza stessa del cambiamento.

In ambito aziendale, il supporto di una rete di colleghi o mentor è senz'altro cruciale nel momento in cui, in condizioni di stress, è più alto il rischio di riattivare vecchie abitudini. In queste situazioni, colleghi che hanno partecipato allo stesso corso di formazione in azienda possono offrirsi supporto reciproco in sessioni di peer-to-peer coaching, utili ad accompagnare e sostenere il processo di cambiamento.

 


 

Per creare le migliori condizioni di apprendimento e imparare a gestire il cambiamento che è così presente nella vita lavorativa di ognuno di noi, può essere necessario il supporto di una società di formazione qualificata.

Se desideri conoscere il metodo che garantisce il raggiungimento degli obiettivi grazie all'esperienza di apprendimento vissuta in prima persona dai partecipanti, prenota una demo personalizzata e gratuita cliccando qui sotto.

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Argomenti: formazione aziendale, coaching aziendale, change management, paura del cambiamento

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