In qualunque ambito oggi, sia professionale che privato, la sola idea di non essere multitasking fa sentire esclusi e mancanti di una qualità considerata praticamente indispensabile.
Elasticità mentale, capacità di gestire più attività contemporaneamente, abitudine alle distrazioni generate dall'arrivo di email, messaggi, chat e telefonate ci sembrano tutte abilità essenziali per potere lavorare nel Terzo Millennio.
Eppure, recenti studi dimostrano come questa caratteristica sia altamente sopravvalutata e possa anzi rivelarsi dannosa per la nostra produttività. In questo articolo prenderemo in esame alcune ricerche per comprenderne il reale impatto e alcuni consigli per migliorare l’efficacia dei team di lavoro.
Cosa significa essere multitasking?
Ciò che chiamiamo multi-tasking e significa letteralmente svolgere più attività in contemporanea, in realtà è switch-tasking ovvero spostarsi da un’attività a un’altra con rapidità).
Grazie a questa doverosa premessa, è piuttosto semplice comprendere che al nostro cervello siano richiesti impegno ed energie per passare da un compito a un altro.
Nei paragrafi successivi, proveremo a dare una risposta alle seguenti questioni.
Collegamenti rapidi:
- Esempi pratici
- Cosa accade nel cervello
- L’impatto sul livello di efficienza
- Come diventare più produttivi
- Reattività VS proattività
- Cosa serve per essere concentrati
Esempi pratici di multitasking e switch-tasking
Lo psicologo Guy Winch esprime il concetto in maniera molto efficace, portando l’esempio di un diagramma a torta: qualunque sia il compito che stiamo svolgendo, occuperà la maggior parte della torta, lasciando poco spazio per altre attività, a meno che si tratti di movimenti automatici, come masticare un chewing-gum o camminare.
Il passaggio continuo da un compito a un altro risulta in uno spreco di produttività, perché l’attenzione deve essere dedicata anche allo spostamento e alla riattivazione della concentrazione.
Riportando il tutto alle abitudini della società digitale odierna, lavoriamo mentre ascoltiamo musica, prepariamo la presentazione per la prossima riunione con un occhio al messaggio appena ricevuto su WhatsApp e il programma di posta elettronica sempre aperto e se arriva un collega a farci una domanda abbiamo la sensazione di essere stati interrotti.
Cosa accade nel nostro cervello
quando proviamo a essere multitasking?
Per rispondere a questa domanda ci avvaliamo del supporto dello studio di un gruppo di ricercatori dell’Università della California, pubblicato sulla rivista Psychological Science.
Le distrazioni e la gestione di diverse attività in contemporanea risultano essere dannose per la memoria e la capacità di apprendimento perché influenzano la nostra abilità nel selezionare le informazioni che vale la pena ricordare.
I partecipanti alla ricerca avevano il compito di studiare delle liste di parole classificate per importanza con un punteggio da 1 a 10 e di farlo mentre eseguivano un’attività complessa, mentre ascoltavano musica e in assenza di distrazioni.
Appurato che i risultati peggiori sono derivati dall'esecuzione contemporanea dello studio delle parole e dell’attività complessa, non sono state rilevate differenza sostanziali nella capacità di ricordare le parole con punteggio più alto nelle altre due condizioni.
Quando la nostra attenzione è suddivisa su più compiti non ci ricordiamo molto, ma siamo in grado di focalizzarci sui dati che riteniamo più importanti.
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Il cervello agisce come un setaccio: trattiene soltanto le informazioni che seleziona come salienti, perché non è in grado di dedicare la medesima attenzione a entrambe le azioni che stiamo svolgendo.
Nulla di grave, se una delle due attività non richiede concentrazione, ma nel momento in cui l’obiettivo è apprendere nuove nozioni, è decisamente consigliato dedicarsi su un singolo compito per volta.
Il cervello non è programmato per processare più attività nello stesso momento e quindi è più produttivo se ne facciamo una alla volta.
Quali sono le conseguenze sui livelli di efficienza?
Il Professor Earl Miller, docente di Neuroscienze al Massachusetts Institute of Technology, ha sintetizzato la risposta a questa domanda spiegando come, nella convinzione di potere fare più cose contemporaneamente, in realtà costringiamo il cervello a passare di continuo da un compito all'altro.
Questo sforzo cognitivo, nel lungo termine, genera stress, ansia e affaticamento mentale.
Il Journal of Experimental Psychology ha pubblicato pochi anni fa uno studio nel quale a due gruppi di studenti veniva chiesto di risolvere un compito matematico complesso: alcuni di loro lo potevano svolgere tranquillamente, mentre altri venivano sottoposti a interruzioni e distrazioni.
È emerso che in questo secondo gruppo si registrava un rallentamento del 40% nello svolgere l'esercizio rispetto al primo dove gli studenti potevano restare concentrati.
Anche gli studi delle Università dello Utah e di San Francisco hanno calcolato una perdita di produttività del lavoro di circa il 40% come conseguenza del multitasking: la mancanza di concentrazione genera una sorta di rumore di fondo che compromette la qualità del compito svolto.
E non è tutto, a causa dell'iperconnettività e sulla tendenza a seguire più task nello stesso momento, tendiamo a ingrassare, perché spesso mangiamo davanti a uno schermo mentre lavoriamo, perdendo l’attenzione che dovremmo invece dedicare ai sapori che aiutano a saziarci.
Un’ulteriore conseguenza negativa è stata dimostrata da una ricerca eseguita dal Professore di Psichiatria della London University, Glenn Wilson, secondo il quale i multitasker mettono a rischio la loro stessa intelligenza.
Quando sono sotto pressione infatti il QI diminuisce anche di 10 punti perché nel cervello vengono liberati cannabinoidi, gli stessi principi attivi della marijuana per intenderci.
Il fatto di dovere prendere molteplici decisioni, quando siamo impegnati su più fronti, ci rende più impulsivi e come conseguenza incappiamo in errori anche su questioni piuttosto importanti.
Il continuo e veloce passaggio di attenzione da un compito all'altro fa consumare più energia e il cervello ci fa sentire stanchi in minor tempo.
Tutto vero, ma la società in cui viviamo ci richiede l’attenzione contemporanea a diversi compiti e ruoli, non dovrebbe quindi essere universalmente accettato?
Non esattamente, soprattutto se si riflette sull’impatto che questa modalità di lavoro ha anche sulle relazioni e sulla sfera privata: chi fa troppe cose insieme, infatti, lamenta una vita di coppia non esattamente idilliaca e rischia di vedere aumentare i conflitti con il partner che, giustamente, pretende un’attenzione totale ed esclusiva, senza distrazioni da smartphone o chiamate a cui assolutamente non si può non rispondere.
E ancora, il National Institute for Occupational Safety and Health statunitense ha evidenziato come la costante attenzione e occupazione su più attività si ripercuota anche sulla salute, con un aumento di casi di emicrania, problemi gastrici, disturbi del sonno e una maggiore predisposizione al rischio di malattie cardiovascolari e psichiche, come la depressione.
Abbiamo visto finora gli aspetti negativi del multitasking ed è naturale chiedersi perché scegliamo di lavorare in questo modo.
In realtà, sembrerebbe trattarsi di un istinto primordiale che ci porta a rispondere agli stimoli immediatamente.
Non solo, lasciare l’attenzione libera di spaziare tra diversi programmi, pannelli aperti nel browser di navigazione, messaggi email, notifiche dei vari social network e ascoltare musica in sottofondo ci fa sentire bene.
Ovviamente i problemi si presentano nel momento in cui tutto ciò ha un impatto sulla produttività e sulla qualità del nostro lavoro.
Vediamo allora nel prossimo paragrafo alcuni consigli per restare concentrati ed evitare distrazioni quando arriva il momento di svolgere un compito importante per cui è necessario dare il massimo.
Come si diventa più produttivi?
Il primo passo riguarda il passaggio da multi a mono-tasking: quando si concentra su una sola attività, infatti, il cervello lavora meglio, perché vengono usati entrambi i lobi frontali aumentando la capacità decisionale.
Viene inoltre efficacemente attivata la corteccia prefrontale, l’area deputata all'organizzazione dei compiti, alla definizione delle priorità e alla distribuzione alle specifiche zone cerebrali.
A questo proposito, vale la pena soffermarci sulla cosiddetta matrice di Eisenhower da cui deriva anche il celebre motto: “Ciò che è importante raramente è urgente e ciò che è urgente raramente è importante”.
Per evitare che ogni attività sia percepita e comunicata come urgente, è fondamentale definire priorità e scadenze, sì, ma queste due componenti da sole non bastano, ne serve una terza: la stima del tempo necessario per svolgerla.
In mancanza di questo terzo elemento, si rischia di sottovalutare o sopravvalutare il tempo e le energie richieste per realizzare un compito e, di conseguenza, non essere in grado di rispettare le scadenze e cadere vittime della sindrome “ancora 5 minuti” che genera un circolo vizioso di dilatazione degli orari, stanchezza, bassa produttività e senso di colpa.
In una pianificazione efficiente delle attività, inoltre, non è necessario iniziare dai compiti difficili, più noiosi o gravosi per “togliersi il pensiero”; anzi, è dimostrato come per creare una nuova abitudine sia si fondamentale importanza ridurre l’impegno richiesto in termini di volontà e sacrificio.
Pianificando la giornata in blocchi, non solo si lascia del tempo libero per le questioni impreviste, ma ci si può concedere anche quei momenti di inattività di cui il cervello ha bisogno.
Fare delle pause non significa essere pigri o procrastinare, bensì ricaricare le batterie e ritrovare la concentrazione.
Nel corso della giornata, infatti, sono molte le attività che svolgiamo in modo semi-automatico, guidati dalle abitudini.
Tuttavia, se tutte le azioni di routine sono frutto di scelte abitudinarie e non consapevoli, dovrebbe scattare in noi una sorta di campanello di allarme, perché il nostro è un comportamento maniera reattivo.
Cosa significa reattività?
E cos'è invece la proattività?
Nell'universo lavorativo, possiamo ritrovare un’infinità di esempi di reattività che denunciano abitudini comportamentali cristallizzate.
Prendiamo, ad esempio, una situazione di crisi nella quale ci troviamo a risolvere una necessità urgente.
Qual è la reazione tipica? La mente incomincia a generare e a discutere le possibili soluzioni: non solo si butta a capofitto nel problema senza pensare agli obiettivi finali, ma tende persino a utilizzare i metodi abituali senza valutarne l’adattabilità alla situazione in esame.
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Il pensiero creativo e la visione strategica non trovano spazio in questo processo convulso e di routine. Molte persone trovano difficile ridurre la propria velocità di marcia, ma l’abilità di rallentare o di fermarsi per un momento è importante quanto quella di procedere.
È necessario, in alcuni casi, introdurre lo strumento denominato STOP:
Stanne fuori - Significa domandarsi cosa sta accadendo, fare un passo indietro e fermarsi, evitando azioni e decisioni prese assecondando un approccio reattivo
Trova delle opzioni - Significa impegnarsi in un differente e più profondo sforzo di pensiero consapevole, chiedendosi cosa posso fare per…?
Organizzati - Significa rendere coerenti i nostri pensieri, definendo gli obiettivi, stabilendo le priorità e una precisa sequenza di azioni
Procedi - Quando abbiamo chiari i nostri obiettivi e i passi da intraprendere, siamo allineati con le nostre motivazioni e i nostri desideri e siamo pronti a tornare all'operatività, continuando a lavorare finché non risentiamo il bisogno di nuovo STOP
Questo metodo permette di non perdere di vista i nostri obiettivi ultimi, di allineare desideri e priorità con le attività che stiamo portando avanti e, di conseguenza, di essere professionalmente più soddisfatti ed efficaci.
E arriviamo quindi alla definizione di proattività che, al contrario di quanto siamo abituati a pensare non è la capacità di anticipare qualcosa ma quella di fare delle scelte individuando la migliore risposta in base agli effetti nel medio-lungo periodo.
Quando in azienda si richiede proattività, più che la capacità di anticipare un problema o un’esigenza, si dovrebbe intendere la consapevolezza del risultato di ogni possibile scelta che può anche essere allenata e applicata in modo reattivo.
Per essere concentrati dobbiamo
per forza lavorare in ambienti isolati?
In realtà, le cause più frequenti di interruzione non i colleghi che fanno domande o il telefono che squilla; quelle che subiamo sono interruzioni interne, distrazioni causate dai pensieri, dalla lettura delle email, dallo sguardo furtivo allo smartphone, da una pagina internet lasciata aperta in background e così via, si potrebbe continuare all'infinito.
Tutte queste divagazioni indicano, allo stesso tempo, il desiderio di gratificazione istantanea e il timore di non finire il lavoro. Non è indispensabile quindi lavorare in isolamento, anzi anche in open space si può essere produttivi, ma è importante allenare l’assertività nella gestione delle interruzioni esterne.
InsideOut ha realizzato Focus, il prodotto formativo di nuova concezione studiato per:
- sviluppare la capacità di definire e raggiungere gli obiettivi
- vincere la reattività e migliorare la capacità organizzativa
- gestire le reali cause di perdita di tempo
- imparare a lavorare per priorità e obiettivi in contesti liquidi come lo smart working
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