La scelta di investire in un progetto di formazione in azienda è spesso accompagnata da aspettative legate al miglioramento delle performance individuali dei collaboratori: incrementare le vendite, la produttività, eliminare i conflitti e accompagnare eventuali cambiamenti organizzativi. Ma qual è l’impatto reale che un piano formativo può avere sulle prestazioni lavorative?
Nell’articolo che segue proveremo a rispondere a questa domanda analizzando:
Quando viene chiesto ai grandi atleti a cosa stessero pensando durante una prova importante, rispondono quasi sempre che non stavano pensando a nulla: la loro mente era tranquilla e concentrata. Se pensano alla loro prova, lo fanno un attimo prima e un attimo dopo, non durante. Quando agiscono al massimo delle loro possibilità, non controllano i loro movimenti con comandi e giudizi consapevoli. Lasciano che tutto accada, senza un controllo conscio e giudicante.
Al contrario, quando le istruzioni dell’allenatore vengono interiorizzate dal giocatore come regole e controllo, finiscono con il compromettere le abilità naturali. E un dialogo interiore giudicante che si svolge nella mente dell’atleta produce uno stato d’animo molto differente dalla tranquilla concentrazione di cui parlano i campioni.
Cosa accadrebbe se si riuscisse a
liberare il potenziale delle persone
che fanno parte dell’organizzazione aziendale?
Uscendo dalla metafora sportiva per addentrarci nella concreta realtà lavorativa, è un dato di fatto che le aziende abbiano molto da guadagnare imparando ad accedere all’enorme riserva costituita dal potenziale dei singoli collaboratori.
Ed è qui che la formazione in azienda può rivelarsi estremamente efficace, ma solo se il facilitatore è in grado di aiutare i partecipanti a riconoscere i comportamenti abituali che limitano la performance, a concentrarsi sulle proprie abilità e mettere a frutto i propri talenti.
Come abbiamo anticipato, per potere liberare il potenziale, occorre riconoscere prima e ridurre poi le abitudini e gli approcci consolidati che lo limitano.
Performance = potenziale - interferenze
La performance in qualsiasi ambito, dal calciare una palla al risolvere un problema di business complesso, è uguale al potenziale personale dopo aver sottratto a questo potenziale i fattori che interferiscono.
Quando la performance equivale al potenziale?
Accade raramente: un piccolo dubbio sulle proprie capacità, un’interpretazione sbagliata, il timore di fallire abbassano di molto la performance individuale.
L’obiettivo della formazione comportamentale deve essere quindi la riduzione e la rimozione di tutto ciò che interferisce con la scoperta e la piena espressione del proprio potenziale.
Prendiamo l’esempio del gioco del calcio: quando l’attaccante vede la palla avvicinarsi, risponde prendendo posizione e colpendola, producendo il risultato dell’azione.
Percezione, risposta, risultato: gli elementi base di ogni azione umana possono essere riassunti in questa elementare sequenza di eventi.
Tra percezione e azione c’è però quasi sempre un’interpretazione.
A ogni passaggio, il significato attribuito a quanto già accaduto condiziona quanto segue e ha un grande impatto sulla performance.
Se il calciatore si è convinto di avere tiro al volo debole, vedendo la palla avvicinarsi penserà che si tratti di un tiro difficile, arrivando a percepire il pallone come una minaccia. Resterà sulla difensiva per ritardare l’errore che nella sua testa è sul punto di compiere; colpirà la palla in modo inefficace concedendo al portiere avversario una facile presa.
Il giocatore interpreterà come una minaccia anche il tiro in porta successivo, ripetendo e alimentando il circolo dell’auto-interferenza.
Cosa accadrebbe se il pallone cessasse di essere una minaccia e tornasse ad essere semplicemente un pallone?
E se il giudizio su se stesso lasciasse il posto ad una obiettiva osservazione della realtà?
L’apprendimento tradizionale è incentrato sul comportamento (la tecnica di risposta del giocatore) e non sulla radice del problema (la distorsione della percezione del giocatore).
Il nuovo approccio allo sviluppo personale e professionale si basa su tre princìpi: awareness - choice - trust (ACT) di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
Una volta compreso che l’imposizione di certi comportamenti e regole rigide non aiuta, il primo obiettivo diventa aumentare la consapevolezza (Awareness) del processo nel quale si è coinvolti.
Come? Ad esempio, se il giocatore non riesce a migliorare la propria tecnica di tiro, è necessario aiutarlo a focalizzare l’attenzione sul processo, osservando quello che accade senza giudizio, magari focalizzandosi sul qualche particolare del processo stesso. Allenare l’attenzione e la consapevolezza della realtà senza farsi distrarre dai tentativi di controllare il tiro o sottolineando ogni piccolo errore.
Quando la mente del giocatore smette di giudicare, molti elementi tecnici del suo gioco cambiano spontaneamente: il giocatore non indietreggia, ha una postura molto meno rigida e va incontro alla palla.
Nel giro di pochissimo tempo, il gioco può migliorare visibilmente e questo accade senza istruzioni tecniche impartite dall’esterno, ma con scelte (Choice) consapevoli e responsabili.
Perché sono avvenuti questi miglioramenti?
Una risposta possibile è che l’iniziale percezione della palla come minaccia è stata rimossa, facendo svanire gli elementi difensivi del comportamento (indietreggiare e colpire la palla contratti). Il corpo risponde naturalmente alla percezione del pallone, andando avanti e colpendolo.
È così facile eliminare le interferenze?
Non sentendosi giudicato, la mente del giocatore è libera dal controllo delle interferenze. Quando il circolo delle interferenze viene interrotto, il giocatore riesce ad operare scelte più efficaci, ottenendo risultati migliori, aumentando la fiducia (trust) nelle proprie capacità.
Probabilmente, la cosa più difficile di questo nuovo processo d’apprendimento è che sia l’allenatore che il giocatore devono imparare ad avere fiducia in un processo naturale d’apprendimento.
Quella che potrebbe apparire una perdita di controllo, in realtà è un’acquisizione di controllo a un livello più profondo.
La fiducia in se stessi è alla base del cambiamento e per questa ragione va allenata.
In azienda funziona allo stesso modo?
Proprio come il giocatore sceglie cosa vuole migliorare, con il coach che stimola il desiderio di raggiungere il risultato, così la condivisione degli obiettivi e la volontà di migliorarsi sono alla base del successo della formazione in azienda.
Ma per vincere la paura e abbracciare il cambiamento trasformandolo in qualcosa di assolutamente naturale, il metodo scelto dal formatore ricopre un ruolo fondamentale.
Nel momento in cui non si avverte alcun giudizio o critica esterna sulle proprie scelte, la responsabilità personale dei risultati cresce e l’effetto positivo del training perdura ben oltre i pochi giorni di aula previsti.
Ciò avviene quando il formatore aziendale, più che elencare una serie di regole comportamentali o insegnare delle nozioni, osserva i partecipanti nel corso di un’esperienza, stimola la consapevolezza dei propri talenti e ne incoraggia l’espressione.
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