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Coaching aziendale vs formazione: quale scegliere?

Scritto da Salvatore Errante | 29.08.2017

Training, Coaching, Team Coaching, Outdoor Traning, Action Learning… le proposte di formazione affollano spesso la mente di chi deve scegliere a quale metodologia affidarsi, generando più di qualche dubbio: “Quale fa al caso mio? Cosa le differenzia? Come scegliere?”

Ne parliamo nelle prossime righe, concentrandoci sul coaching aziendale, un po’ perché negli ultimi anni ha visto un incremento notevole di richieste e di professionisti operanti in questo campo, un po’ perché ci sembra che le differenze e la relazione con la formazione tradizionale non siano sempre chiare a tutti.

  • Differenze tra formazione e coaching
  • Punti d’incontro che facilitano lo sviluppo di competenze

 

C’è differenza tra formazione e coaching aziendale?

 

La prima, piuttosto evidente, è il rapporto tra il trainer/coach e il partecipante/coachee: il training è abitualmente erogato a gruppi di persone, più o meno numerosi, prevedendo quindi una relazione uno a molti tra formatore e partecipanti.

Il coaching privilegia invece invece una relazione one-to-one tra business coach e coachee. Il team coaching è un altro caso particolare e ne abbiamo parlato QUI.

 

Ma è sufficiente questo elemento per distinguere i due approcci?

 

Nelle aziende la risposta implicita è ahimè spesso sì, tanto è vero che si pensa automaticamente al coaching quando emergono esigenze di formazione individuali, anche se obiettivi ed aspettative sono distanti da ciò che il coaching può realmente offrire.

 

 

Partiamo quindi dal comprendere le differenze sostanziali tra formazione d’aula e coaching

Il focus della formazione è tradizionalmente l’apprendimento: un aumento delle conoscenze o delle capacità se parliamo di soft skill. Il formatore è abituato a condividere con i partecipanti contenuti, modelli, strumenti per il miglioramento della performance professionale (sapere vendere, comunicare, sviluppare la leadership, gestire i conflitti...).

In aula, utilizzando i modelli presentati dal trainer, i partecipanti sperimentano comportamenti nuovi, definendo al termine un piano d’azione per introdurre nella realtà lavorativa le nuove abitudini. Nel training così inteso il formatore è sostanzialmente un esperto di contenuto. Talmente esperto che talvolta, dispensando regole e modelli, rischia di trasformare la formazione in un vero e proprio addestramento.

Nel coaching aziendale il focus invece riguarda il cambiamento e/o il miglioramento delle prestazioni. A seconda del peso dei due elementi, viene definito coaching trasformazionale nel primo caso e performance coaching nel secondo.

In generale, partendo da una chiara definizione degli obiettivi di cambiamento e/o miglioramento, negli incontri one-to-one di coaching si sviluppa progressivamente una consapevolezza crescente in merito a possibilità, risorse, talenti, capacità, che il coachee possiede e che, se impiegate, permettono di raggiungere i risultati desiderati.

Nella conversazione di coaching, il coachee individua e sceglie in piena autonomia, stimolato dal coach, approcci alternativi a quelli abituali, attingendo al patrimonio personale di esperienze e di competenze.

Il coach, non dovendo offrire in prima persona alcuna soluzione, non è tenuto ad essere un esperto di contenuto. Deve invece esserlo di metodo. Ascolto attivo, formulazione di domande e saper restituire feedback sono solo alcune delle competenze chiave che il coach dovrebbe possedere per guidare al meglio il processo di coaching.

 

Cosa manca alla formazione aziendale tradizionale

del processo di coaching?

 

Mentre nel coaching aziendale l’obiettivo finale è facilitare nel coachee l’assunzione di responsabilità, lasciandogli la libera scelta di agire in una determinata direzione aumentando così la sua efficacia professionale, la formazione tradizionale è ancora concentrata sul cosa debba essere imparato, utilizzando una modalità spesso prescrittiva (10 regole per…, 3 cose da fare/non fare per…). 

In questo modo non si aiutano però le persone a sviluppare autonomia di pensiero e capacità decisionale, ad imparare dalla propria esperienza, scomponendola e rileggendola criticamente.

Pensiero critico, assunzione di responsabilità, capacità decisionale sono tuttavia, a nostro avviso, competenze chiave per agire in maniera consapevole nella complessità della nostra epoca ed evolvere in sintonia con i propri desideri e le pressioni del mondo esterno.

Questo non significa che il coaching sia in assoluto la metodologia da privilegiare rispetto alla formazione in aula.

Al contrario, il training è fondamentale per allenare in diretta molte competenze che gli incontri one-to-one di coaching non contemplano. Una sua tutte, l’intelligenza sociale, ossia la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera positiva, costruttiva e socialmente compatibile.  Inoltre, poiché la formazione agisce incrementando il patrimonio di conoscenze personali, rappresenta un primo passo importantissimo verso quell’aumento di consapevolezza che il coaching stesso ricerca.

L’antico aforisma latino tradotto in sapere è potere ha proprio questo significato: conoscere una disciplina è la base per utilizzarla al meglio!

Se, ad esempio, come manager voglio diventare un leader migliore, la conoscenza attraverso lo studio dei diversi modelli di leadership mi può aiutare a riflettere criticamente sul mio operato e a sperimentare i primi cambiamenti di comportamento.

Quando la formazione tradizionale ha il coraggio di mutuare dal coaching alcune sue pratiche, può potenziare notevolmente i suoi effetti, trasformando completamente anche il ruolo del trainer stesso.

Vediamo in che modo.

Punti d’incontro tra formazione e coaching

  

Quali metodi di coaching aziendale

possono essere applicati alla formazione?

 

Il formatore che integra nel suo approccio le competenze del coach è, rispetto al trainer classico preparato sul contenuto, anche un esperto di metodo.

Non punta esclusivamente sul suo sapere e sulla sua esperienza, concentrandosi sul cosa occorra ai partecipanti per raggiungere determinati risultati, ma, al contrario, ha piena fiducia nella capacità delle persone di trovare le risposte dentro di sé e le supporta nella scoperta dei propri talenti e risorse, facilitando una libera scelta su come agire per raggiungere il risultato desiderato. Non si concentra sullo studio e la preparazione di presentazioni, magari ogni tanto interrotte da qualche discussione e role play, ma progetta esperienze di apprendimento che hanno la capacità di promuovere nei partecipanti fiducia ed autonomia di pensiero e di azione.

In quest’accezione, non parliamo più di docenti o di trainer ma di facilitatori dell’apprendimento. Professionisti che integrano nel loro approccio sia la conoscenza dei contenuti del trainer sia le competenze di processo del coach, in grado di facilitare cambi di prospettiva nei partecipanti per aiutarli a definire nuovi traguardi di crescita personale e professionale.

Usando l’esempio dell’allenamento sportivo, possiamo definire il formatore classico come il preparatore atletico che stabilisce delle regole e un piano di allenamento. Diversamente, il coach si focalizza sulla persona oltre che sull'atleta, attento a cogliere i suoi bisogni e capace di facilitarne l’espressione del potenziale.

In un piano formativo efficace servono entrambi gli approcci: il preparatore analizza in primo luogo la situazione dell’atleta, definisce gli obiettivi e il piano di allenamento. Ma, dopo un’iniziale attività intensiva (la formazione in aula), può essere indispensabile il supporto di un coach per proseguire nella direzione desiderata con la giusta motivazione.

In questa fase, anche i partecipanti stessi si possono ritagliare un ruolo da coach, attraverso il peer to peer coaching. Il coaching tra pari è una pratica, già largamente diffusa oltreoceano, in grado di contribuire notevolmente al successo di un progetto formativo, prolungando l’effetto benefico della formazione attraverso momenti d’incontro tra colleghi per condividere l’avanzamento dei piani d’azione personali e i progressi fino a quel punto maturati.

Non solo: il peer to peer coaching può avvenire anche durante le fasi vive dell’aula, favorendo la partecipazione spontanea e spingendo a riflettere criticamente su situazioni lavorative concrete, grazie alle quali sarà più naturale e facile mantenere vivo il ricordo e gli apprendimenti maturati con la formazione.

 

 

In sintesi, abbiamo scoperto che formazione d’aula e coaching non vanno vissute come metodologie tra loro sostitutive per lo sviluppo dell’efficacia professionale ma, al contrario, possono beneficiare di molte sinergie, a vantaggio del raggiungimento dei risultati desiderati. E, non ultimo, che il formatore del nuovo millennio deve ripensare il proprio ruolo ed ampliare le proprie competenze: non basta più solo indossare il cappello dell’esperto.

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