Negli ultimi anni si è giunti alla conclusione che non esista un unico modello di leadership efficace e replicabile per ottenere successo nella gestione dei collaboratori, ma come si è sviluppata questa teoria?
Ne parliamo nell'articolo di oggi, con un approfondimento sui diversi studi che hanno portato alla leadership situazionale:
Ha ancora senso pensare al leader come a una figura autoritaria che prende decisioni e si limita a fornire direttive ai propri collaboratori, aspettandosi la totale obbedienza?
Gli studi sulla leadership degli ultimi decenni sostengono esattamente il contrario, cioè che il leader per essere efficace debba sapere adattare il proprio comportamento alle esigenze della situazione specifica ed essere quindi il più possibile coerente.
Al dipartimento per la ricerca aziendale della Ohio State University, gli studi sul comportamento dei leader sono cominciati nel 1945.
Innanzitutto i ricercatori hanno definito la leadership come “il comportamento di un individuo quando dirige l’attività di un gruppo verso il raggiungimento di un risultato”.
In secondo luogo, hanno individuato due dimensioni tipiche del comportamento dei leader:
Secondo i ricercatori, un tipo di comportamento non esclude l’altro: è quindi possibile, ad esempio, che un leader trovi il tempo per ascoltare suggerimenti e problemi dei suoi collaboratori e, contemporaneamente, ordini di seguire regole standardizzate da lui stabilite. Ma può anche accadere che il leader si concentri solo sull’ascoltare i propri collaboratori senza definire alcuna regola, o che legiferi in continuazione senza preoccuparsi minimamente di dare ascolto ai suoi collaboratori. Non è neppure escluso che il leader eviti sia di ascoltare i suoi collaboratori, sia di stabilire regole e procedure.
Il comportamento di un leader, dunque, potrebbe essere definito come un mix delle due dimensioni individuate.
Riprendendo e traducendo le due dimensioni del comportamento di leadership individuate alla Ohio State University in “attenzione alla realizzazione del compito” e in “attenzione allo sviluppo dei rapporti con le persone”, Robert Blake e Jane Mouton hanno divulgato questi concetti con la loro Managerial Grid, usata poi estensivamente in programmi di formazione manageriale.
Nella Managerial Grid vengono individuati cinque differenti stili di leadership, risultati dall’incrocio delle due dimensioni considerate.
Mentre il lavoro della Ohio State University tende ad essere un modello che esamina come le azioni dei leader sono percepite da altri, la Managerial Grid tende a misurare predisposizioni e atteggiamenti di ogni manager.
Negli studi sinora analizzati, il presupposto di fondo è che si possa individuare un comportamento di leadership ideale e una serie di comportamenti da evitare.
Partendo dallo stesso presupposto, R. Likert ha cercato di scoprire il modello generale di direzione usato dai manager a più alta produttività, paragonato con quello usato da altri manager.
Secondo le indagini di Likert sono quelli che concentrano la loro attenzione sugli aspetti umani dei problemi dei loro collaboratori e che chiariscono ai loro subordinati quali sono gli obiettivi da raggiungere e quali le necessità che devono essere soddisfatte, ma poi lasciano loro un’alta discrezionalità nello svolgimento del lavoro.
In sintesi, secondo le esperienze di Likert, a un’alta produttività sarebbe associato uno stile di supervisione poco rigido e democratico.
Rovesciando l’impostazione degli autori precedenti, Fiedler ha svolto una serie di indagini su piloti americani e su lavoratori di un’industria nigeriana, giungendo alla conclusione che un singolo stile di leadership di tipo normativo sia destinato ad avere effetti alterni, non sempre di successo.
Il motivo? Perché non prende nella dovuta considerazione differenze culturali, in particolare abitudini e tradizioni, così come il livello scolastico, lo standard di vita o l’esperienza industriale.
Nello sviluppare questo modello embrionale di leadership situazionale, Fiedler ha introdotto alcune variabili che possono spiegare se un dato contesto sia o meno favorevole a un leader:
Sviluppando il lavoro di Fiedler, e riconoscendo che l’efficacia di un leader dipende dal modo in cui il suo stile di leadership entra in rapporto con la situazione in cui opera, Reddin ha riconosciuto la necessità di introdurre una terza dimensione al modello bidimensionale già sviluppato: la dimensione dell’efficacia.
Se uno stile di leadership è coerente con la situazione data, è definibile come efficace; se è incoerente, è definibile come non efficace.
La differenza tra stili efficaci e inefficaci è data dall’adeguatezza del comportamento del leader all’ambiente entro cui opera. In realtà, dunque, la terza dimensione è l’ambiente.
Riutilizzando i principali strumenti concettuali proposti dai ricercatori della Ohio State University e le conclusioni di Fiedler e di Reddin, Hersey e Blanchard hanno cercato di definire in modo più analitico il rapporto fra stili di leadership e alcune variabili, tra cui le caratteristiche dei collaboratori.
Anche per Hersey e Blanchard, le due dimensioni di base vengono definite come:
I comportamenti che si manifestano nella realtà sono una combinazione di questi due orientamenti.
Secondo Hersey e Blanchard, gli stili base di leadership possono essere così schematizzati:
Ciascuno di questi quattro stili di base può essere efficace o inefficace, a seconda della situazione.
Ed è proprio da qui che deriva il termine leadership situazionale.
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