L'intelligenza emotiva: una capacità fondamentale per i manager

Pubblicato da: Salvatore Errante aggiornato il 22 settembre 2021
Salvatore Errante
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intelligenza emotivaL’intelligenza emotiva sta avendo sempre maggiore risalto nella letteratura psicologica e delle Neuroscienze, ma spesso esce da questo ambito ed entra, a pieno titolo, in quello delle Risorse Umane, perché si tratta di una competenza indispensabile per i team leader e i manager che si trovano a dovere gestire un gruppo di collaboratori.

Ma cosa significa davvero? E in che modo rende efficace l’attività dei manager in azienda?

Proviamo a rispondere a queste domande nelle prossime righe.

Cosa significa intelligenza emotiva?

L’espressione emotional intelligence è stata coniata nel 1990 da due ricercatori, Peter Salovey e John D. Mayer, che l’hanno definita come una serie di competenze che contribuiscono alla capacità di ascoltare le emozioni altrui, esprimere le proprie, di adattare in modo efficace le sensazioni, usandole come leva per la motivazione, la pianificazione e il raggiungimento degli obiettivi.

Nei paragrafi che seguono affronteremo altre definizioni, partendo anche dall'analisi offerta da Daniel Goleman nel suo libro “Emotional Intelligence” del 1995, diventato un classico sull'argomento.

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L’intelligenza emotiva secondo Daniel Goleman

L’abilità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e di influenzare quelle dei propri collaboratori è sicuramente una competenza che può rivelarsi utile per il bene comune.

Le nostre emozioni ricoprono un ruolo primario sia nell'elaborazione dei pensieri che nella capacità decisionale che determina il successo delle attività, è facile comprendere quindi come essere in grado di gestire le proprie e quelle dei collaboratori sia davvero un asso nella manica per i manager e i leader in azienda.

Secondo Daniel Goleman, che è stato docente di Psicologia a Harvard ed è collaboratore scientifico del “New York Times”, l’emotional intelligence non può essere misurata con un test come il quoziente intellettivo, poiché include una serie di capacità individuali come il controllo dei propri impulsi, la motivazione, l’empatia e di competenze sociali nelle relazioni interpersonali.

A cosa serve l’intelligenza emotiva?

Innanzitutto, una breve premessa: proviamo a pensare a ciò che intendiamo comunemente con intelligenza.

Il rendimento scolastico dei bambini, ad esempio, pur con una mente brillante, può crollare drasticamente se sussistono situazioni di disagio familiare; le persone assunte in azienda dopo avere superato i classici test d'intelligenza si possono rivelare inadeguate al ruolo previsto per loro; un matrimonio può fallire se entrambi i coniugi sono dotati di un QI sopra la media.

L’intelligenza da sola non basta per stabilire una vita familiare serena ed essere soddisfatti del proprio operato al lavoro.

O almeno, non basta l’intelligenza “astratta” misurabile attraverso test ed esami.

Cosa serve? Quella che Goleman in “Emotional Intelligence” definisce come una miscela complessa dove autocontrollo, pervicacia, empatia e attenzione agli altri sono fattori dominanti.

Questa particolare forma di intelligenza, nella storia dell’evoluzione umana, ci ha permesso di sopravvivere in un ambiente ostile e può ancora aiutarci ad affrontare un mondo sempre più complesso e in continua trasformazione.

Quando si è in grado di governare le emozioni, guidandole verso vantaggi comuni, si ottengono benefici ben più duraturi rispetto al soddisfacimento dei bisogni immediati.

Si può acquisire questa competenza?

Assolutamente sì! L'intelligenza emotiva si può imparare e anche migliorare.

In che modo? Innanzitutto, occorre imparare a riconoscere sia le proprie emozioni che quelle altrui.

intelligenza emotiva

Si tratta, secondo Goleman, i suoi studi ed esperimenti, di un obiettivo raggiungibile da parte di tutti noi e che grazie a questo tipo di intelligenza potremo orientare sia il nostro comportamento che le nostre scelte verso l’efficacia.

Vediamo ora, nel prossimo paragrafo, quali sono le 4 abilità fondamentali di questa intelligenza interpersonale.

Le 4 abilità dell’intelligenza interpersonale

Secondo Howard Gardner e Thomas Hatch, colleghi presso la scuola Spectrum, fondata sul concetto di “intelligenze multiple”, sono 4 le abilità che compongono le fondamenta dell'intelligenza interpersonale o emotiva. Vediamole di seguito.

1. Organizzazione dei gruppi

Decisamente una delle competenze base per i manager e i leader, la capacità di coordinare le attività del team è un talento evidente dei capi efficienti di organizzazioni di qualunque tipo e settore. Un esempio, visibile anche in tenera età: il bambino (o la bambina) che diventa capitano della squadra o decide quale gioco si fa, assumendo l’incarico di leader.

2. Negoziazione

Il negoziatore, o mediatore, è la persona capace di prevenire e/o risolvere i conflitti. Si tratta di una competenza molto apprezzata negli agenti, nei commerciali e nel personale di vendita in generale, oltre che negli avvocati e nei diplomatici, per l’eccellente capacità di trattativa.

Anche questo talento è riconoscibile, da bambini, quando questi riescono a calmare due compagni di gioco che litigano o a stabilire i giusti equilibri prima ancora che si verifichi il conflitto.

 

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3. Creazione di legami personali

Parliamo ora della dote dell'empatia, ovvero la capacità di connettersi emotivamente agli altri. Attraverso il riconoscimento delle emozioni e delle preoccupazioni altrui, si facilita l'inizio di una relazione. Le persone dotate di empatia lavorano bene in squadra, sono amici e partner d'affari affidabili e hanno successo come venditori, manager o coach. Grazie alla facilità con la quale si inseriscono in un gruppo di lavoro risultano molto simpatici e ben voluti dai colleghi.

4. Analizzare la situazione sociale

La capacità di riconoscere e comprendere emozioni, motivazioni ed esigenze è in grado di facilitare i rapporti. Infatti, in alcuni casi, i talenti in questa competenza diventano consulenti o terapeuti.

Questa particolare “intelligenza sociale” supporta, in realtà, tutte le altre 3 capacità fin qui descritte ed è una caratteristica necessaria al successo sociale e al carisma.

Attraverso la grande disinvoltura con cui sanno entrare in rapporto con gli altri, i talenti in questa competenza sono abili nel leggere reazioni e sentimenti, nel guidare, nell’organizzare i team di lavoro e nel mediare i conflitti.

Le competenze chiave del manager

Le persone dotate di questi tipi di intelligenza interpersonale sono quindi leader naturali, grazie alla capacità di cogliere gli umori del gruppo, esprimerli e guidarli, supportando così il raggiungimento degli obiettivi di business. 

intelligenza emotiva e obiettivi

Di fronte a tali personalità non è raro sentire raccontare quanto piacevole sia lavorare con manager del genere, perché sono anche dei “distributori” di buon umore e benessere per chiunque stia loro vicino.

Non si tratta semplicemente di essere popolari e quindi di ottenere un’impressione sociale eccellente, adattandosi in modo perfetto alle situazioni al punto da essere sicuri di ottenere l'effetto desiderato. Senza una percezione delle proprie emozioni ed esigenze e del modo per soddisfarle entrambi, infatti, il successo sociale risulta privo di reale significato, perché manca la caratteristica della soddisfazione personale.

Mark Snyder, psicologo della Minnesota University, ha studiato questi individui, definiti come “camaleonti sociali”, che grazie alle loro abilità sono diventati dei veri campioni nel fare una buona impressione.

Tuttavia, l'immagine privata che hanno di sé è ben diversa da quella impressa nelle menti degli altri per essere ben voluti.

Le abilità sociali devono essere dunque equilibrate alla capacità di conoscere e rispettare in primis le proprie emozioni, bilanciandole con la fedeltà a se stessi e l’integrità morale.

Leadership trasformazionale

Altra cosa è, invece, il leader trasformazionale che basa le proprie relazioni con i collaboratori sull'empatia, coinvolgendo il team e ispirandolo grazie al suo comportamento. Questo tipo di leader è sicuro di sé ma è disposto anche a sacrificarsi per il bene dell’azienda e non ha paura di affrontare sfide e cambiamenti organizzativi.

La leadership trasformazionale è efficace proprio in virtù dell’ispirazione che motiva al raggiungimento degli obiettivi ben oltre i benchmark. I collaboratori dei manager trasformazionali sono autonomi e responsabili nel prendere decisioni, seguendo l'esempio carismatico del capo.

Restiamo in tema di rapporti manager-collaboratori, nel prossimo paragrafo affrontiamo l’argomento della gestione del feedback.

Dare e ricevere feedback

Una delle qualità più apprezzate nei collaboratori, soprattutto quando fanno parte di un team di lavoro, è la capacità di gestire i feedback, anche se non sono del tutto positivi.

Una critica, benché costruttiva ed espressa a fin di bene, non è facile da digerire per la maggior parte di noi.

 

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Anche se non si viene corretti e non vengono evidenziati errori, il solo fatto di ricevere consigli per fare meglio all'occasione successiva, spesso, ci fa arrabbiare.

È piuttosto naturale, in verità, eppure un suggerimento potrebbe concorrere enormemente al nostro sviluppo personale.

 

Come si impara a gestire i feedback?

 

Innanzitutto, l’intelligenza interpersonale ci aiuta a comprendere che non stiamo subendo un attacco se riceviamo una critica, ma che si tratta di un’esperienza di apprendimento.

Anche se il feedback negativo può ferire, se si mettono da parte le emozioni istantanee, è possibile cogliere un’imperdibile opportunità di crescita.

Persino quando la critica è totalmente priva di fondamento è possibile ottenere un beneficio, perché si vede la realtà dalla prospettiva dell’altro e si comprende il suo punto di vista diverso dal proprio.

Le emozioni sono per natura istintive e non possono essere controllate, possono essere invece controllate le reazioni a quelle sensazioni, concentrandoci sull’aspetto razionale del pensiero e dei comportamenti.

È questa la vera proattività, cerchiamo di comprenderla meglio con alcuni esempi.

Se una persona ha la tendenza a rispondere in modo impulsivo e magari si pente delle sue reazioni perché dice ciò che con il senno di poi avrebbe fatto bene a tenere per sé, semplicemente allenando la proattività e imparando a fermarsi per qualche secondo prima di parlare, assume il controllo delle proprie emozioni e previene l’eventuale conflitto che si potrebbe generare.

Allo stesso modo, quando si ha il problema opposto e si fatica a esprimere la propria opinione, lo strumento di pausa è comunque utile, ma in questo caso per comprendere le conseguenze di un ipotetico silenzio.

Fermarsi e porsi delle domande può aiutare moltissimo a darci la giusta motivazione per dire la nostra.

 


 

La breve pausa per riflettere è una delle soluzioni per una corretta gestione delle emozioni, capace di sfruttarle a proprio vantaggio e iniziare a considerarle alleate, anziché nemiche.

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Argomenti: leadership, management, empowerment organizzativo, intelligenza emotiva

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